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venerdì 22 ottobre 2010

Michael Troche il bambino congelato

Immagine di fantasia

Michael Troche il bambino congelato
L'inverno del 1984-85 fu particolarmente rigido negli stati che vanno dal Michigan al Texas –USA- La mattina del 19 gennaio 1985 a Milwaukee, nel Wisconsin, la temperatura era scesa a 60 gradi sotto zero. Michael Troche, un bimbo di due anni, mentre i genitori dormivano, riuscì ad uscire di casa e con addosso solo il pigiamino si mise a camminare nella neve. Quando il padre lo ritrovò erano passate alcune ore. Il bimbo letteralmente congelato era ricoperto di cristalli di ghiaccio sia sopra che sotto la cute e aveva smesso di respirare.
Portato d’urgenza all’ospedale pediatrico di Milwaukee il dottor Levin Kelly, specializzato in ipotermia, costatato che la temperatura corporea era scesa a 16 gradi disse che Michel era morto. Comunque un’equipe di 18 medici e 20 infermieri si misero al lavoro: “Collegarono il corpo del bambino a una macchina cuore-polmoni per riscaldargli il sangue, iniettarono farmaci per impedire al cervello di dilatarsi, sgelarono il corpo e operarono delle incisioni sugli arti perché i tessuti si riempivano d'acqua proveniente da cellule scongelate e minacciavano di scoppiare.”
Per tre giorni il bambino giacque sospeso fra la vita e la morte, ma si riprese subendo lesioni non gravi ai muscoli di una mano. In seguito fu sottoposto a trapianti di cute per eliminare i segni delle incisioni che gli avevano dovuto praticate sulle braccia e le gambe ma Michael fortunatamente non riportò nessun danno cerebrale. I medici in seguito dichiararono che probabilmente si era salvato proprio perché essendo molto piccolo era stato congelato rapidissimamente dal freddo e in quello stato il cervello non aveva avuto bisogno di molto ossigeno per continuare a funzionare.

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