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lunedì 10 gennaio 2011

La Zisa di Palermo - e la sua leggenda



La Zisa
La Zisa risale al periodo della dominazione normanna in Sicilia. Il suo nome deriva dall'arabo Al-aziz cioè splendido, era una residenza estiva del sovrano. La sua costruzione fu iniziata sotto il regno di Guglielmo I nel 1165 e portata a compimento sotto quello di Guglielmo II. La Zisa delle origini si trovava inserita nel grande parco reale di caccia del Genoard (paradiso della terra), che si estendeva ad occidente della città. Tutti gli edifici reali furono realizzati in “stile arabo” ed erano circondati da splendidi giardini (oltre alla Zisa, il palazzo dell'Uscibene ed i padiglioni della Cubula e della Cuba soprana). Oggi il castello ospita il Museo d'Arte Islamica e raccoglie testimonianze del mondo Arabo in Sicilia.

La leggenda della Zisa
Nel quartiere Olivuzza di Palermo c’è un grandissimo palazzo che assomiglia a un castello ed è chiamato la Zisa. L’entrata è elegantemente affrescata e nel centro c’è una fontana di marmo dalla quale sgorga acqua limpida e fresca, e nella quale si riflettono i mosaici dorati delle pareti. Nel palazzo è nascosto il tesoro dell’imperatore e a guardia sono stati messi "i diavoli" che devono difenderlo dai cristiani. Nessuno riesce a contare quanti siano i diavoli, c’è chi dice siano tredici, chi quindici, chi di più, non si lasciano mai contare. Anche le monete non si sa quante siano e nessuno è mai riuscito a prenderle. Un giorno forse qualcuno riuscirà a sciogliere l’incantesimo e allora finirà tutta la miseria di Palermo.
Quando una cosa non si può sapere con esattezza, si dice: “E chi su, li diavuli di La Zisa? “

La difficoltà di contare esattamente “i diavoli” della Zisa è data dal fatto che alcune delle figure sono molto piccole ed altre non intere, così c'è chi le considera e chi le ignora; si aggiunga che per contarle l’osservatore è indotto a girare su se stesso guardando il soffitto, in questa situazione è facile perdere il conto ed avere l’illusione ottica che a spostarsi siano ”i diavoli”.


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