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martedì 15 marzo 2011

L’influenza passa, il marito no

    
L’influenza passa, il marito no 
Pur rendendomi conto che nel trionfo di Pm10, benzene, ossidi di azoto e monossido di carbonio nei quali siamo immersi l’idea stessa di prevenzione sia abbastanza ridicola, io non mi arrendo e mi ostino a provarci. Ma nonostante chili di arance e kiwi, litri di centrifughe carote, mele e zenzero, bustine di papaya liofilizzata, pasticche di Echinacea, impacchi di pompelmo rosa e oli essenziali bruciati in casa come se fossimo in un tempio buddista, l’influenza è arrivata. L’IMPORTANTE è che non colpisca mio marito. Perché io posso reggere tutto - le barzellette del premier, il filo interdentale della Minetti e perfino la contemporaneità tra l’ennesima ondata di pidocchi a scuola e la lavatrice rotta - ma non mio marito che con un raffreddore si trasforma in una noiosissima lagna. Essendo dotata - come tutte le donne - di una salute di ferro, sono sempre stata io ad accudire i miei in tutti i malanni possibili. Ho fatto brodini e passati di verdure, spremute, spugnature, misurato febbri, letto storie, distribuito medicinali. Ma quest’anno l’influenza ha colpito anche me. Per essere più precisi ha steso l’intera famiglia ad eccezione di mio marito. Un nosocomio. «Non preoccuparti amore - ha dichiarato lui, orgoglioso di poter finalmente dare un senso al suo inespresso ruolo di capobranco - Adesso c’è papi che si occupa di tutto». Sono stramazzata. Ci sono parole che non posso più sentire senza un brivido lungo la schiena. Ma con 40 di febbre, mi sono fidata e mi sono addormentata. Poco dopo, mi ha svegliata. «Scusa amore - ha sussurrato - vorrei farti una spremuta, ma dov’è lo spremiagrumi? E soprattutto dove sono le arance?». Ho grugnito e sono risprofondata nelle tenebre, dalle quali mi sono sentita strappare presto. Non era la spremuta, bensì Federico che con gli occhi lucidi e il corpo-stufetta mi chiedeva aiuto. «Ma dov’è papà?». «Sta cercando lo spremiagrumi». Accolto il figlio maschio nel lettone, siamo svenuti assieme stremati dalla febbre sempre più alta. Dopo poco, il respiro affannoso di Alice mi ha svegliata. «Mamma mi fa malissimo la gola, ho bisogno di bere». «Ma il papà dov’è?». «Sta cercando le arance». Con questi ritmi sospetto che anche la Fiom l’avrebbe già licenziato. Fatto posto nel lettone anche alla ragazza, mi sono riaddormentata, ma dopo qualche minuto una mano mi scuoteva. Era lui, il pater familias, il capobranco che, pallido come un lenzuolo, m’implorava di portarlo al pronto soccorso: «Mi sono tagliato l’indice». Sono certa che dopo aver creato l’uomo, Dio abbia sospirato: «Posso fare di meglio...»

SANDRA BONZI
ARCHIVIO LA REPUBBLICA DAL 1984
02 febbraio 2011 — pagina 1 sezione: MILANO

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