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venerdì 15 ottobre 2010

La monaca di Monza


La monaca di Monza
Il 25 settembre 1622  il portone del Ricovero delle Convertite di Santa Valeria, a Milano, si apre per far passare una figura che, più che camminare, viene trascinata in stato pietoso, coperta da brandelli sudici di quello che un tempo era stato il suo abito monacale. Si tratta di una donna denunciata  all’anagrafe come Marianna, nata a Milano il 7 gennaio 1575, figlia minore di don Martino de Leyva, feudatario di Monza, e della ricchissima donna Virginia Marino. Come in tutte le grandi famiglie del tempo, nelle quali la legge del maggiorasco obbligava il padre ad assegnare il patrimonio al primogenito, per la giovane non restava che il Convento. 
L’infanzia di Marianna non ebbe nulla dell’innocenza e della gaiezza infantili. La piccola crebbe sballottata da una governante all’altra (la madre era morta di peste quando lei aveva un anno), mentre il padre, era costretto dalle sue cariche militari ad allontanarsi di frequente. 
Complici i parenti di lei don Martino , deciso a mettere le mani sulla somma cospicua comunque spettante a Marianna dopo l’assegnazione del maggiorasco al fratello, organizzò un piano di coercizione mascherato da consigli paterni e la fanciulla fu spinta verso il convento: dicendole che comunque l’ultima decisione spettava a lei.
il 25 marzo 1589, Marianna, non ancora quattordicenne, entrò nel Convento di Santa Margherita, a Monza.
L’idea di farsi monaca era lontana, ma col passare dei mesi, le cose cominciarono a cambiare plagiata dall’incessante martellamento del padre, senza quasi rendersene conto Marianna pronunziò il “sì”, e divenne monaca. 
Sul giardino del Convento di Santa Margherita si aprivano le finestre del Palazzo degli Osio, nobile famiglia del Bergamasco, a cui apparteneva il giovane Gianpaolo: Costretto agli “arresti domiciliari”, passava lunghe ore alla finestra, dalla quale  guardava nel giardino delle monache. Seguiva in particolare una suorina, giovane e molto bella. La schermaglia di sguardi e gesti ebbe una svolta improvvisa. Una notte suor Virginia (è questo il nome da religiosa di Marianna de Leyva) lasciò cadere nel giardino degli Osio la chiave del parlatorio del Convento. 
La relazione segreta tra suor Virginia e Gianpaolo Osio andò avanti per sette anni, sostenuta da una passione sfrenata e suor Virginia rimase incinta. Con la complicità di suor Benedetta e di suor Ortensia riuscì a tener nascosta sia la gravidanza, sia la nascita del bambino: un maschio nato morto. Ma dopo due anni nasce una bimba. Il padre trafugò la neonata dal Convento e la fece battezzare con il nome di Alma, Francesca, Margherita, e la legittimò come figlia di una fittizia Isabella da Meda. La bimba fu data a balia a una donna di campagna, che, quando sarà chiamata a deporre nel processo a carico di suor Virginia, dichiarerà che portava al Convento la piccola, dicendole: «Andiamo dalla mamma».
Alll’Arcivescovo di Milano, il cardinale Federico Borromeo,erano giunte strane voci su quel convento e nel 1605 vi si recò “in visita pastorale” Nulla trapelò di quanto accadeva tra quelle mura. Ma quando un giorno una conversa addetta al servizio di suor Virginia, si lasciò scappare che sapeva qualcosa e che avrebbe parlato, suor Virginia e l’Osio, con la complicità di due suore (che poco dopo Osio farà fuori) la soppressero, spargendo la notizia di una sua fuga,
Lo scandalo era scoppiato e il conte de Fuentes, Governatore spagnolo della Provincia, chiese la consegna di Osio, le autorità religiose quella di suor Virginia.
«Il processo di suor Virginia, rea confessa, si concluse con una condanna: "Segregazione perpetua, in una cella murata, con uno spiraglio di luce dall’alto appena bastevole per leggere l’uffizio»
Senza difesa fu torturata e poi murata viva per quattordici anni finché il Cardinal Borromeo la graziò. 
L’ultima carta che la riguarda è un documento che si può leggere nel Libro Mastro del Ritiro di Santa Valeria: «Addì 17 gennaro 1650. Devono le Monache del Convento di Santa Margherita L. 39 per alimenti passati alla suor Virginia Maria Leyva fino al dì suddetto che è passata miglior vita»
Il 2 gennaio 1608 Gian Paolo Osio è citato per i due tentati omicidi e l’omicidio delle suore. Il 25 febbraio è condannato in contumacia alla forca e alla confisca dei beni. 
Si dice che l’Osio sarebbe stato ucciso a tradimento nei sotterranei del palazzo del suo amico Taverna che lo aveva ospitato nel suo palazzo.
Oggi conosciuto come " Palazzo Isimbardi", sede della regione. Sembra che il suo fantasma compaia ancora ai giorni nostri 

dal web

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